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Michele Angileri

Foce S. Michele (Rio Colle Alto)

Il paesaggio dell'alta valle del Volturno è caratterizzato da boschi verdissimi che crescono rigogliosi sulle bianche rocce calcaree solcate dai torrenti. Dai colli più alti spuntano i borghi medievali protetti da fasce di pareti rocciose e da muraglioni in pietra, dall'alto dei quali lo sguardo può abbracciare i campi coltivati e i boschi, oppure salire fino alle foreste di faggio e alle vicinissime vette delle Mainarde e della Meta, dove la neve rimane fino a giugno inoltrato.
Siamo nella parte più meridionale del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, la terra degli orsi marsicani. Luoghi che portano impresso il segno della presenza e delle attività dell'Uomo, ma che allo stesso tempo hanno mantenuto una propria dimensione selvaggia. In questi luoghi l'Uomo e la natura selvaggia hanno convissuto plasmandosi reciprocamente. La lunga storia di questa mutua interazione tra Uomo e Natura la possiamo leggere un po' dappertutto in questi luoghi, ma ci sono dei punti in cui la vediamo più chiaramente che in altri, e uno di questi è l'eremo rupestre di San Michele a Foce. Sorge in un grottone in mezzo alla parete della gola del Rio Colle Alto, un maestoso portale attraverso cui dalle colline si può salire verso le faggete e i pascoli di alta quota delle Mainarde. Un portale aspro, misterioso, terribile per l'Uomo del passato.

Oggi Foce San Michele è un apprezzato itinerario di torrentismo, e sta rapidamente divenendo una classica del torrentismo in Italia Centrale. Nel complesso è un itinerario breve che però presenta un inforramento particolarmente severo e suggestivo.

Nome Foce S. Michele (Rio Colle Alto)
Regione Molise, Mainarde
Centro urbano più vicino Castel San Vincenzo (Isernia)
Dislivello 90 m
Sviluppo 600 m
Verticale massima 22 m
Roccia calcare
Difficoltà3 (primavera)
Navetta Possibile
Esplorazione Michele Angileri, Riccardo Hallgass; 23 agosto 1992

 

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Cosa trovate nella descrizione dettagliata della gola

Ricordi

In quel periodo stavo lavorando alla tesi di laurea. Per stringere i tempi avevo deciso di lavorare anche ad agosto. Decisi di concedermi solo qualche giorno ogni tanto, quando mi fosse servito per smaltire la stanchezza mentale. La stanchezza arrivò, e così mi concessi 4 giorni in giro per l'appennino centrale, in sella alla mia moto da enduro, da solo (gli amici erano tutti in vacanza). Una vacanza spartana: panini a pranzo e a cena, di notte una coperta di stelle e di giorno in giro per strade e sterrate, osservando il paesaggio alla ricerca di gole.

Fu così che notai da lontano, alle spalle del paese di Castel San Vincenzo, l'evidente intaglio di una gola. Trovata una sterrata che conduceva all'uscita, risalii il torrente che in breve si chiudeva in una stretta forra. Riuscii a risalirla solo per un breve tratto, perché subito giunsi alla base di un'alta cascata chiusa tra pareti che creavano una suggestiva penombra. Il torrente era in secca.

Qualche settimana dopo Riccardino rientrò dalle vacanze, e insieme ci recammo ad esplorare la Gola di Castel San Vincenzo. La gola si rivelò assai più semplice di come me l'aspettavo. Con il torrente in secca le cascatelle si potevano scendere con facili disarrampicate. L'ambiente, inoltre, si manteneva sostanzialmente aperto, con brevi incassamenti. L'unico inforramento serio si trovava alla fine, dove c'erano due belle cascate in successione che portavano nell'ambiente in penombra che avevo osservato qualche settimana prima.
Soltanto quelle due cascate richiedevano l'uso della corda. Le scendemmo in tiro unico, piantando uno spit sul lato sinistro, in posizione decisamente arretrata e utilizzando due corde da 50 m (incontrammo qualche difficoltà nel recupero della corda).

Rimasi complessivamente deluso dalla discesa: mi aspettavo di più. Considerai la Gola di Castel San Vincenzo come uno di quegli itinerari in cui si va una volta per sapere cosa c'è e poi non si torna più, e dunque non pensai mai di ritornarci. Quando anni dopo preparai il Catasto delle forre italiane per la neonata Associazione Italiana Canyoning, la inserii nel catasto col nome di "Gola di Castel San Vincenzo".

Passano 15 anni e qualcuno inizia a parlare della "Foce San Michele". È lei, è la gola di Castel San Vincenzo, ma nei giudizi di chi la percorre sembra essere un'altra gola, bella e maestosa. La gente che ci si reca ci torna, più volte, e sembra non averne abbastanza! Pubblica foto di cascate sferzanti, pozze, tuffi ...
Evidentemente la differenza di giudizio è dovuta alla presenza dell'acqua. Percorrere una gola con acqua o senza sono due cose molto diverse: l'acqua rende tutto più bello, interessante e sportivo.

Così finalmente mi decido a tornare alla gola di Castel San Vincenzo, anzi alla "Foce San Michele". Stavolta ci vado a maggio, e così la gola che vent'anni prima mi aveva deluso mi regala stavolta una discesa assolutamente piacevole a dispetto della sua brevità e dei 200 km di strada che la separano da casa. Devo ammettere che gli estimatori di questo luogo avevano ragione: in condizioni di flusso idrico la gola è quello che si dice "un gioiellino".
Questo però ci deve far riflettere sul significato del termine "esplorazione" quando viene utilizzato nel torrentismo. La nostra esplorazione del 1992, pur svelando la morfologia della forra, non fu sufficiente a svelarne le potenzialità ludiche ed estetiche. Anche qui, allora, trova conferma quanto avevo fatto notare in altre pagine di questo sito: l'esplorazione di una forra di norma non si conclude con la prima discesa. Perché una forra sia conosciuta a fondo occorre che sia percorsa più volte, nel tempo, in diverse stagioni e condizioni idriche.

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