canyon exploring with Michele Angileri
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Quale torrentismo?

Le parole "torrentismo" o "canyoning" assumono, a seconda di chi pratica questo sport, significati anche molto diversi. Così, per evitare fraintendimenti, mi sembra utile spiegarvi cosa significhino per me queste parole, che tipo di torrentismo (o canyoning) io faccia.

Io pratico il "torrentismo esplorativo", che si svolge in gole mai discese prima, o al limite in gole poco conosciute. Soltanto raramente mi capita di percorrere gole abbondantemente note. Perché faccio questo? perché mi ostino a cercare ed esplorare nuovi percorsi torrentistici invece che recarmi in luoghi di sicura bellezza e soddisfazione? perché non organizzo le mie vacanze torrentistiche, che so, nel Canton Ticino, in Spagna o alla Reunion? perché non faccio come quelli che al massimo dopo due anni di esperienza (e un paio di corsi) percorrono quelli che secondo la comunità degli appassionati di canyoning sono gli itinerari più belli, difficili e adrenalinici?

La risposta a questa domanda sta nel modo e nel tempo in cui mi sono imbattuto nel torrentismo. A metà degli anni '80 la parola "torrentismo" era praticamente sconosciuta, e la parola "canyoning" non si era mai sentita. Io personalmente ignoravo anche cosa fossero l'alpinismo, la speleologia o l'arrampicata, o meglio ne avevo informazioni frammentarie e superficiali, un po' come tutti. Subivo però il fascino dei luoghi naturali aspri, selvaggi, maestosi, ne ero attratto. Vicino casa ce n'erano alcuni in cui nessuno andava mai e che mi incuriosivano. Un giorno volli andarli a vedere da vicino. Mi ritrovai così in un ambiente assurdo e bellissimo, asperrimo ma allo stesso tempo accogliente. Per muovermi in quel luogo dovevo fare qualcosa che non avevo fatto mai, arrampicarmi, e qualcosa che avevo sempre fatto, nuotare. Era il giardino primordiale dove potevo tirare fuori il bambino che è in me e allo stesso tempo era una solenne cattedrale in cui venerare le forze possenti che generano la nostra realtà. Era una strada a senso unico ma anche un luogo dove dovevi inventare una strada e un modo per poter passare e poter vedere ciò che veniva nascosto dall'ansa successiva.
Era la gola del Raganello, allora sconosciuta e solitaria.

Senza fare corsi (che allora semplicemente non esistevano) dovetti capire da solo quali attrezzature fossero necessarie per percorrere un ambiente così: della corda da ferramenta, un k-way per proteggermi dal freddo, il casco per proteggermi dalle pietre che mi erano cadute pericolosamente vicino, quelle particolari scarpe da ginnastica che sembravano rovinarsi di meno, un rampino realizzato tagliando, sagomando e saldando un tondino d'acciaio, un martello per scavare appoggi artificiali, un canotto per non far bagnare la roba.
Quando un paio d'anni dopo riuscii a percorrere entrambe le gole del Raganello iniziai a chiedermi se vi fossero altri luoghi come quello. O meglio: era ovvio che ci fossero, ma dove? Così iniziai a girare in moto per l'appennino meridionale, e trovai le mie prime gole. Lì però le difficoltà erano di altra natura rispetto al Raganello. C'erano salti di roccia, cascate, che erano dei veri e propri muri verticali, alti 10 metri o più, che non riuscivo a risalire e non mi fidavo a scendere. Capii che mi servivano le tecniche e le attrezzature alpinistiche, e così frequentai un corso di speleologia ed uno di arrampicata, che mi diedero finalmente quelle conoscenze tecniche che mi servivano per percorrere quelle gole che avevo trovato ma che prima erano troppo difficili per me.
Il gioco della scoperta e dell'esplorazione delle forre ormai mi prendeva completamente. Contemporaneamente fu pubblicata la prima guida alle forre italiane, il libro "Profonde Gole", di Sivelli e Vianelli. Mi recai in alcune di quelle gole, quelle geograficamente più vicine (Italia centro-meridionale), ma erano poche, e così continuai a cercarne di nuove rendendomi presto conto che la montagna appenninica era sconosciuta (riguardo alle forre) non solo a me ma a chiunque. Così guardare una montagna, una collina e chiedermi cosa ci fosse in quella certa valle divenne un tutt'uno.

C'è da dire anche che io sono fondamentalmente una persona curiosa: da sempre l'ignoto mi attrae come una calamita. Il torrentismo esplorativo mi da modo di sfogare quella voglia di ignoto che la semplice ripetizione di un itinerario già esplorato lascerebbe insoddisfatta.

È chiaro ora perché pratico il torrentismo esplorativo? perché per me il torrentismo è sempre stato quello lí, fin dall'inizio, e perché io sono una persona curiosa. Non ho cominciato il torrentismo con un corso o sotto la guida di una persona già esperta che mi spiegasse che cosa fosse e dove e come si praticasse, e per questo il mio modo di vedere il torrentismo è venuto fuori da sé: cosa fosse il torrentismo l'ho deciso io, non me l'ha inculcato nessuno. Quando pratico torrentismo non celebro un rito di cui sono stato dapprima spettatore, ma do libero sfogo alla mia personalità e alla curiosità affrontando quello che mi trovo davanti, facile o difficile che sia.

A spingermi verso il torrentismo non è stata la ricerca della "adrenalina", non è stato il gusto del pericolo, la voglia di affrontare le paure istintive del vuoto o dell'acqua ... è stata la bellezza dell'ambiente, il piacere di immergersi, armonizzarsi, confrontarsi con un ambiente aspro ma affascinante, bello e sublime. In questo, secondo me, sta la vera passione di chi pratica quelle attività a contatto con la Natura che vengono viste come "estreme" da coloro che non le praticano. Sono realmente "estreme"? certamente lo sono, ma su una scala molto ampia che va da attività perfino meno pericolose di certe comuni attività quotidiane (come l'andare in automobile) fino ad attività equivalenti ad una roulette russa. Ogni torrentista, alpinista, sportivo "estremo" sceglie il livello di estremizzazione della propria attività secondo parametri soggettivi che dipendono dalle motivazioni interiori ma anche dall'esperienza e dalle capacità atletiche. Io cerco di tenere basso il livello di rischio di ciò che faccio, anche se a volte mi rendo conto che il rischio è assai più alto di quanto avessi voluto (e chissà quante volte lo è senza che me ne renda conto ...).
Comunque, questo significa che io tengo a freno la voglia di infilarmi in ambienti che mi attraggono ma che reputo decisamente pericolosi, e prima di andarci me li studio per bene, da ogni angolazione, e ci vado quando il livello di pericolo è il minimo possibile. Perché il mio scopo non è affrontare il pericolo ma godere l'ambiente. Per me affrontare il vuoto e il pericolo è semplicemente il prezzo da pagare per potere accedere ai luoghi dove mi spinge la curiosità. Per me la manovra tecnica è qualcosa che serve per arrivare in quel dato posto, non mi da nessuna emozione in sè: è il mezzo, non il fine. Il fine è la forra, è il bello e il sublime, è il godimento estetico-atletico, sportivo-contemplativo.

Non faccio torrentismo perché poi mi possa vantare di avere fatto una cosa difficile o pericolosa che la maggior parte della gente non fa. Non faccio torrentismo perché ho problemi di autostima, perché devo dimostrare a me stesso di essere capace di affrontare un ambiente che mi sembra più difficile e pericoloso di quello che ho già affrontato, perché devo sentirmi "un grande" o perché gli altri debbono sapere che sono "un grande".

Questo è il torrentismo per me, assai diverso da quello che è per la maggioranza dei praticanti. Molti sono alla ricerca dell'adrenalina, parola dietro la quale si nasconde, nella grande maggioranza dei casi, un divertimento in stile luna-park, una serie di spaventi innocui, un pericolo più apparente che reale, con la differenza però che nel torrentismo il pericolo alla fine c'è davvero. È il divertimento tipico delle vie ferrate, dove cammini sullo strapiombo attacato a robusti cavi d'acciaio: paura + sicurezza = luna-park. Poi il pericolo c'è davvero, ma non è nel fatto di stare appesi nel vuoto bensì, ad esempio, nel rischio di venire colpiti da un sasso che cade dall'alto.

Tra gli "adrenalinici" ci sono anche quelli che praticano il "torrentismo sportivo". Per loro la forra è luogo da performances atletiche (difficili, per carità, non alla portata di tutti) e così si divertono a scendere le forre in velocità, correndo invece che godendosi il panorama, tuffandosi, anche da altezze superiori ai 10 m. Io corro già troppo nella vita, che corre a sua volta follemente: per trovare il riposo mentale ho bisogno di andare lento, magari anche di fermarmi ogni tanto. Faccio torrentismo anche per riposare la mente. Senza contare i rischi del "torrentismo sportivo": cadute, lussazioni, fratture, rotture dei timpani per l'impatto con l'acqua, ... Per carità, ognuno si diverta come crede! ma a me il "torrentismo sportivo" ricorda la logica "usa e getta" del mondo consumistico. In questo tipo di torrentismo la forra non ha importanza di per sé, ma solo come palcoscenico per una narcisistica performance atletica.

E ci sono anche quelli che vivono il torrentismo come uno sport estremo, e dunque lo praticano deliberatamente in situazioni che comportano notevoli rischi, legati a condizioni particolarmente ostili o ad un ambiente particolarmente aspro. (Sottolineo la parola "deliberatamente" perché c'è gente che affronta, si, grossi rischi senza però rendersene conto. Non classificherei costoro come "adrenalinici": si tratta di semplici incoscienti, talvolta imbecilli, di cui non vale la pena occuparsi.)
Come dicevo sopra, i rischi non mi attraggono. Laddove ci sono notevoli rischi il torrentismo non è più un gioco ma diventa una ragione di vita, o anche di morte. Affrontare scientemente notevoli rischi per il gusto in sé è indice IMHO di un notevole squilibrio emotivo. Affrontarli incoscientemente è invece indice di scarsa intelligenza (senza contare che l'incoscienza limita fortemente la "adrenalina", cioè l'emozione che si prova a fronteggiare un rischio: se non si è coscienti del rischio è impossibile spaventarsi!)

L'altra grande categoria di torrentisti è formata da coloro che del torrentismo prediligono l'aspetto sociale, che domina sull'attività in sé, sulla forra, al punto che un'uscita torrentistica ha senso solo nel gruppo, solo in quel particolare gruppo o solo in quel tipo di gruppo, in assenza del quale non si va in forra. Il torrentismo è per queste persone un modo per vivere il gruppo, e la forra è il luogo dove si celebra un rito sociale fatto di appartenenza, assimilazione, leadership. Di fronte al rito sociale la forra (l'ambiente in cui si svolge il torrentismo) può perdere importanza fino a divenire irrilevante: in pratica a questa gente della forra, in fondo, non gliene frega niente.
Nel gruppo si definiscono ruoli che generano dinamiche: c'è inevitabilmente un leader, ci sono quelli che vanno a rimorchio, che non si assumono responsabilità ma si affidano al capogruppo. Il leader si diverte a sentirsi bravo e importante agli occhi degli altri, iniettandosi una dose di autostima che presto però svanirà rendendo necessaria una nuova dose, quelli a rimorchio si divertono a fare i clienti non paganti. Laddove ci sono individui di entrambi i sessi si innesta il gioco della seduzione, la ricerca di un compagno di cuore, ...
C'è inoltre la "comunità dei torrentisti", una sorta di gruppo allargato nel quale è possibile cercare un riconoscimento, un ruolo sociale da "esperto di", "maestro di", ... Per alcuni la ricerca e (in qualche caso) il mantenimento di questo tipo di ruolo costituisce il motore principale (se non l'unico) per praticare il torrentismo, un motore senza il quale avrebbero già smesso da tempo di andare per forre.

Altri ancora fanno torrentismo per mestiere, per soldi. Non vedo niente di male nella cosa in sé: se non avessi un lavoro lo farei anch'io. Sarebbe un modo onesto di guadagnarsi da vivere, e potrebbe consentirmi di frequentare assiduamente gli ambienti di forra. Io però un lavoro ce l'ho, e nel poco tempo libero che mi rimane voglio giocare liberamente al piccolo esploratore, senza condizionamenti. Quindi, quando qualcuno mi chiede di essere accompagnato (pagando) in questa o quella forra la mia risposta è "no".
Devo inoltre constatare che per la stragrande maggioranza dei "commerciali" (coloro che lavorano col torrentismo, accompagnando gruppi o tenendo corsi) l'inizio dell'attività lavorativa coincide con la fine dell'attività torrentistica vera e propria. Quando si inizia ad andare in forra per soldi si finisce col fare solo quello e pensare solo alla possibilità di guadagno, di fronte alla quale la passione per l'ambiente delle forre diviene via via più insignificante fino a scomparire in un processo di abbrutimento complessivo. Sono pochissimi quelli che riescono a sfuggire a questo meccanismo perverso e pur guadagnando col torrentismo continuano a ritagliarsi per sé il tempo e le occasioni per divertirsi in forra senza secondi fini.
E non è solo colpa dell'avidità di denaro o della necessità di trovare il proprio sostentamento: è che lo svago non può che essere un'attività diversa dal lavoro. Svagarsi significa "staccare la spina", orientare i pensieri e l'attenzione in una direzione diversa, prendersi una pausa. Perciò chi lavora con le forre deve necessariamente svagarsi con qualcos'altro, e così l'inizio dell'attività torrentistica lavorativa coincide con la fine dell'attività torrentistica vera e propria, quella fine a sé stessa.

Infine devo citare quelli che vanno in forra saltuariamente o sporadicamente, quelli per cui il torrentismo è un diversivo da un'altra attività sportiva che invece praticano con maggiore regolarità: sono la stragrande maggioranza.

Ma torniamo a me: mi piace esplorare perché sono una persona curiosa. Qualcuno potrebbe chiedermi: ma allora perché non vai ad esplorare all'estero? nel mondo ci sono enormi catene montuose sconosciute e selvagge, dove potresti scoprire forre maestose e difficili: perché ti accontenti di esplorare torrenti nell'appennino, percorrendo luoghi che a volte si rivelano semplici, magari privi d'acqua, talvolta diversi dalla tipica iconografia del canyoning fatta di cascate rombanti e pozze adatte al tuffo?
I motivi sono essenzialmente tre:

  1. per esplorare all'estero serve una squadra affiatata, e io questa squadra non ce l'ho. Ho grosse difficoltà a trovare gente interessata ad un discorso esplorativo serio. Chi fa canyoning è interessato all'adrenalina o al cazzeggio sociale: l'esplorazione è tutta un'altra storia. Non potrei imbarcarmi in un'avventura in un luogo lontano con gente con la quale non abbia prima maturato un ottimo affiatamento qui
  2. ci sono oggettivi problemi logistici. Occorre avere tempo libero e pochi vincoli di natura familiare. Servono anche un po' di soldi, ma non tanti, in verità: le cifre in gioco sono alla portata dei più
  3. l'esperienza di questi 25 anni mi ha mostrato che i risultati esplorativi vengono fuori quando si fa un lavoro assiduo nel territorio: quando insomma si torna più volte nello stesso posto. È assai improbabile che una grande scoperta salti fuori al primo colpo. Sono dunque motivato ad esplorare nelle zone che già conosco e delle quali ho iniziato ad avere la "chiave di lettura" che mi consente di capire dove stanno le forre e che tipo di percorsi posso trovare. E una volta che ho la chiave di lettura che dovrei fare, secondo voi: chiuderla in un cassetto e iniziare a cercare la chiave di lettura di una zona lontana, dove potrò recarmi di rado? non pensate che la cosa più logica sia usarla per trovare nuove forre?

Un'ultima, importante osservazione: dietro un'esplorazione torrentistica, così come dietro ogni attività a cui l'Uomo dedichi energia e impegno, c'è comunque il gusto della sfida. Nel mio caso la sfida principale è la ricerca di ciò che è nuovo, che ancora non esiste. L'esplorazione è una sfida intellettuale prima ancora che fisica: l'itinerario devi prima immaginarlo per poi poterlo realizzare. Io ricavo un grande piacere nello scoprire una forra laddove nessuno pensava che ci fosse, perché questo mi conferma che la realtà è diversa a seconda degli occhi che la guardano e sono contento che i miei occhi abbiano saputo vedere in profondità, oltre l'apparenza superficiale, sono contento di conoscere il territorio meglio di prima, forse meglio di chiunque altro.

Trovare un canyon sconosciuto è come fare un viaggio in un posto così lontano che nessuno c'è mai andato, un altro pianeta che si nascondeva dietro casa, mai visto né (forse) immaginato. Ma ciò che conta, in fondo, non è nemmeno l'esplorazione: è la forra. Cerco nuove forre perché mi piacciono le forre (anche quelle conosciute): luoghi straordinari che ancora, dopo 30 anni di attività, mi sorprendono e mi ammaliano.


Il torrentismo che faccio io è molto diverso da quello che la stragrande maggioranza dei praticanti chiama "canyoning". Ora spero che abbiate capito, e possiate meglio comprendere quello che vedete nelle pagine di questo sito. Se sentite in voi una certa affinità col mio modo di vivere il torrentismo non esitate a contattarmi, cliccando sul mio nome in testa o in coda alle pagine di questo sito. Non pensate che per contattarmi dovrete vantare chissà quali esperienze torrentistiche: l'esperienza si fa, si può fare, la testa invece la si ha o non la si ha e non c'è modo di farsela. È quella (la testa) la cosa più rara e preziosa per il torrentismo esplorativo, quella veramente difficile da trovare.

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