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Michele Angileri

Fosso La Ferge

Il versante settentrionale del Terminillo è il più roccioso e alpino, un maestoso anfiteatro modellato da ghiacciai oggi scomparsi che si dirigevano verso quella che oggi è la Vallonina. Qui, complice l'esposizione a nord, la neve blocca la strada fino a maggio, e più in alto sopravvivono cornici e lingue di neve fin quasi ad agosto, e questo scenario può essere ammirato dalla macchina perché qui troviamo il passo stradale più alto di tutta la catena appenninica. È la Sella di Leonessa, coi suoi 1900 m, attraversata dalla strada che da Rieti sale ai residence e agli impianti sciistici del Terminillo e poi scende lungo la Vallonina, la valle grande e silenziosa, ricoperta da una delle più belle faggete dell'appennino, che inizia dalle pareti del Terminillo e termina nella piana di Leonessa.

Il torrente che percorre la Vallonina è alimentato da due valli che inizialmente scorrono parallele. La strada percorre una di queste valli, quella ampia e panoramica. La seconda valle è invece stretta, nascosta e solitaria, e se si prova a risalirla ci si accorge che si stringe in una forra accidentata da cascate insuperabili. Per percorrerla non c'è che un modo: fare un largo giro che porti in alto, sui prati di alta quota alle pendici del Monte di Cambio, portando con sé le corde e gli attrezzi del torrentismo, e da lí iniziare la lunga discesa del Fosso La Ferge.

Nome Fosso La Ferge
Regione Lazio
Centro urbano più vicino Leonessa
Dislivello 500 m
Sviluppo 2300 m
Verticale massima 12 m
Roccia Calcare
Difficoltà3-5
Navetta Possibile
Esplorazione Giancarlo Cicconi, Daniele Colucci, Alberto Del Grande, Cesare Di Cecco; 14 febbraio 2002 (discesa invernale col greto ricoperto di neve)
Prima discesa torrentistica: Michele Angileri, Andrea Pucci; 9 settembre 2013

 

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Cosa trovate nella descrizione dettagliata della gola

Ricordi

La prima esplorazione del Fosso La Ferge fu effettuata da Cicconi, Colucci, Di Cecco e Del Grande in condizioni invernali. Non si trattò, dunque, di un'esplorazione torrentistica: la parte alta della gola si presentava ricoperta da grossi accumuli di neve che nascondevano le cascate più piccole, creavano salti anche dove non ce n'erano, aumentavano l'altezza di alcune cascate. Così la relazione della discesa pubblicata da Giancarlo non corrisponde alla reale morfologia della gola (pensate che Cicconi riferisce di una calata di 40 m quando invece la calata più lunga è di soli 12 m!). Inoltre la neve consentiva la progressione coi ramponi. Per tutte queste ragioni nessuna calata fu armata su spit o chiodi: in condizioni estive è stata necessaria, invece, l'installazione di qualche armo artificiale.
Nella parte più inforrata Cicconi & C. trovarono vasche dovute alle dighe create dalle slavine e aggirarono i tratti più stretti passando in alto sulle pareti ed affacciandosi di tanto in tanto ad osservare il fondo, col risultato che anche la descrizione della parte inforrata presenta significative discrepanze con la realtà. E anche qui è stato necessario chiodare per potere scendere.

In conclusione: l'esplorazione in condizioni invernali non fu un'esplorazione in senso torrentistico. Fu piuttosto una sorta di ricognizione avanzata.

Video by Michele Angileri e Andrea Pucci

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