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Michele Angileri

Fosso delle Pratelle

Quando penso all'Appennino Centrale ho in mente alte montagne di roccia calcarea dai profili dolci. Le cime si ergono nude al di sopra della vegetazione, i fianchi sono ricoperti da fitte foreste di faggi. Qua e là ecco qualche parete rocciosa verticale o qualche pianoro di alta quota. Ovunque i segni del carsismo: le forme delle rocce, le doline, e la totale mancanza di ruscelli che scorrano in superficie. Andando in giro per queste montagne si può trovare al massimo qualche misera sorgente, perché tutta l'acqua scorre sottoterra, per riemergere alla base delle montagne.

I Monti Ernici racchiudono in sé gli aspetti tipici del paesaggio dell'Appennino Centrale. Sugli Ernici sono possibili splendidi e lunghi percorsi escursionistici, ma riguardo al torrentismo ... c'è poca roba. Se l'acqua scorre sottoterra non si creano gole, questa è la regola sui Monti Ernici

Ma ogni regola ha la sua eccezione, e così anche qui troviamo un interessante percorso torrentistico. Il canyon del Fosso delle Pratelle offre una discesa di discreta lunghezza, caratterizzata da brevi inforramenti e da numerose verticali, il tutto immerso nel tipico paesaggio appenninico dei Monti Ernici.

Nome Fosso delle Pratelle
Regione Lazio meridionale, Monti Ernici
Centro urbano più vicino Veroli
Dislivello 380 m
Sviluppo 1200 m
Verticale massima 35 m
Roccia calcare
Difficoltà2
Navetta Consigliata.
Esplorazione Michele Angileri, Fabrizio Ameli; 20 giugno 1991

 

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Cosa trovate nella descrizione dettagliata della gola

Ricordi

È la prima forra che esplorai con corde, chiodi e discensori. Prima di allora le mie esplorazioni si erano limitate ai torrenti accessibili anche senza tecniche alpinistiche. Se c'era qualche breve saltino lo si superava in arrampicata, aiutandosi magari con una corda lanciata con un grappino (in salita) o legata a un albero o a un sasso (in discesa). Andavo per torrenti così da qualche anno, con attrezzature o arrangiate e compagni inesperti. Uno di questi compagni era Fabrizio Ameli.

Conobbi Fabrizio all'università. Eravamo compagni di corso. Gli parlai delle maestose gole del Raganello e lui rimase affascinato da quei racconti, al punto da volere venire a vedere di persona. Facemmo così un viaggio da Roma alla Calabria per scendere le gole. Nel corso di quella discesa mi diede l'idea di utilizzare le mute di neoprene per proteggersi dal freddo in acqua (io allora non utilizzavo un abbigliamento specifico).

Da quella gita la nostra amicizia uscì rafforzata. Ci accomunavano gli studi universitari, condividevamo un certo modo di vedere le cose, e ora c'era questa strana forma di escursionismo a legarci. Fabrizio non visse mai l'esperienza delle forre con l'intensità e il trasporto con cui la vivevo io, ma volle provarla ancora, più volte nel corso dei 2-3 anni successivi. Vennero così la risalita alla gola di Chiàuci sul fiume Trigno, le discese della Gravina di Terranova del Pollino e della gola del Lao.
Fu assieme a Fabrizio e a suo fratello Pietro che trovai la gola del Fosso della Montagna, affluente del Lao. Arrampicandoci con l'ausilio delle corde superammo l'ultimo salto e arrivammo alla base del penultimo, dove un muro di roccia alto 20 m ci sbarrò il cammino facendomi capire che ci occorreva qualcosa in più, una nuova tecnica, delle nuove conoscenze.

In verità sapevo già quali fossero le tecniche che mi mancavano. Qualche mese prima mi ero recato in un negozio di articoli per l'immersione subacquea per acquistare una muta di neoprene. Il commesso si rese conto subito che la muta mi serviva per praticare il torrentismo (era la prima volta che sentivo quel nome) e mi disse che ero capitato nel posto giusto: lui aveva fatto del torrentismo, un'attività pericolosa che richiedeva tecniche e attrezzature che derivavano dalla speleologia. E proprio in quel negozio quella sera stessa si sarebbe tenuta l'ultima lezione di un corso di speleologia. Ci andai e mi furono spiegate alcune cose fondamentali ...

Così mi decisi ad imparare le tecniche alpinistiche, senza le quali la mia avventura esplorativa sarebbe stata fortemente limitata nonché azzardata. Nell'autunno del 1990 frequentai un corso di arrampicata sportiva (tenuto dal climber Andrea Di Bari). Nella primavera del 1991 frequentai il corso di introduzione alla speleologia tenuto dall'associazione "Speleologi Romani".
Fu proprio durante un'uscita di quest'ultimo corso che notai la gola del Fosso delle Pratelle. L'esercitazione si svolgeva nella parte bassa della valle. Risalendo il torrente per una ventina di minuti si giungeva ai saltini finali della gola, che si presentava poco incassata.

Terminato il corso proposi agli istruttori di venire con me ad esplorare quel torrente, ma nessuno si mostrò interessato alla cosa. Un paio di loro si recarono alla fine della gola per farsi un'idea più precisa, ma risaliti o aggirati i due saltini finali conclusero che il torrente non era una gola e quindi non valeva la pena di esplorarlo. La loro conclusione era sbagliata, ovviamente. E altrettanto ovviamente l'esplorazione la feci lo stesso, assieme a Fabrizio, il quale non aveva frequentato alcun corso speleo-alpinistico, ma che aveva imparato da me le poche cose davvero indispensabili a quell'avventura.

E così una mattina di fine primavera eccoci, io e Fabrizio saliamo nella faggeta verso l'inizio di un'avventura indimenticabile dall'inizio alla fine. Ne rivedo ogni dettaglio, ogni passaggio di arrampicata, ogni chiodo messo. Rivivo la sorpresa e le emozioni provate da entrambi. Rivivo la discesa di quel salto che era più alto dei faggi e che andava tutto nel vuoto, con l'acqua che ci gocciolava sulla testa.

Ci mettemmo tanto tempo. Arrivammo all'uscita al crepuscolo, e tornammo alla macchina illuminati dalla luna piena.

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